~ Landing From Far Away

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  1. Barone Mirtillo
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    - Parlato di Eve -




    Aeroporto internazionale di Narita.



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    La cosa fastidiosa della modernità, è che molti non sanno interpretarla: le persone si limitano a usarla, senza la minima fantasia. Eve non potè trattenere uno sbuffo di delusione, mentre gettava le prime occhiate al Terminal 2 dell'Aeroporto di Narita; lindo, efficiente, pulito. Anonimo. Impossibile da distinguere da Heathrow, o da Shanghai-Pudong. Tutto, maledettamente, noiosamente, uguale.

    Sperava vivamente che Tokyo si rivelasse più interessante.

    Si ravvivò i capelli rosei, trascinandosi dietro il suo voluminoso trolley. Almeno stavolta il viaggio era stato agevole: una comoda prima classe su un volo Japan Airlines, niente viaggi di fortuna con mezzi di fortuna. E sgradevoli conseguenze, avrebbe aggiunto. Certo, avrebbe gradito lo stesso una bella doccia ed un buon letto.

    Come al solito, lasciava la via vecchia per la nuova, per seguirLo: non che nell'ultima avventura ci avesse messo chissà quanto impegno, beninteso. Il cliché era comunque sempre lo stesso, due giovani idiota che si inseguono a vicenda. Perlopiù attirando guai. O all'occorrenza, creandone.

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    - Non raggiungibile? -

    Disse tra sè e sè, mentre Lo chiamava. L'impulso a scaraventare al suolo il telefono era piuttosto alto. 2040 e passa, e ancora c'erano telefoni in grado di fallire una chiamata? In altri tempi, in altri luoghi, si sarebbe semplicemente messa a sparare in aria, per farsi notare da lui. Ma il Giappone, pare, era un posto civile. Meh.

    Un pessimo inizio. Ci mancava solo che la borseggiassero. Sbuffò: 12 minuti sul suolo nipponico, e già la sua pazienza era al limite. Si avvicinò ad uno dei distributori automatici che punteggiavano la hall: sicuramente non avevano Vodka, ma un po' d'acqua le serviva per aspettarLo senza dare in escandescenze.
    Inserì la tessera elettronica. Rumore di paccottiglia metallica. Aveva beccato l'unica macchinetta malfunzionante sul suolo Giapponese.

    - ... -

    Inspirò profondamente, un paio di volte. Poi si godette l'ebrezza del dare una barbara spallata a quel bidone elettronico. Avrebbe voluto infierire ancora, ma la gente iniziava a guardarla male; la macchinetta, comunque, aveva capitolato, restituendole la tessera. A brandelli

    - ...Kh. -

    Biascicò, avvolta da un'aura di demoniaca rabbia. Secondo una stima approssimativa, Eve aveva ancora 2 minuti e 36 secondi prima di dirigere la sua rabbia sul primo malcapitato di passaggio.
     
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    «Parlato di Richard»



    Aeroporto internazionale di Narita.

    Ci sono cose che, nel tempo, cambiano.
    Che la colpa sia di chi abbiamo attorno e del suo modo di fare, che ad infierire sia stato un allineamento astrale sbagliato, che siamo noi stessi a crescere e mutare o, più semplicemente, che la colpa sia di fini granelli di sabbia che pigramente cadono nell'ampolla sottostante di quell'immensa clessidra che è il tempo che passa, tutti nell'arco delle nostre vite sperimentiamo il mutamento.
    Il cambiamento è insito nel destino di tutti, e nemmeno Lui, nonostante i suoi desideri, riusciva a sfuggire a questo fato.

    Purtroppo, per quanto si fosse sforzato, non era mai riuscito a cristallizzare il tempo.
    Il fantomatico incantesimo che riuscisse ad immortalare il momento perfetto, che lo conservasse inalterato per l'eternità... non gli apparteneva.
    E così, anche la sua vita continuava a scorrere. E vissuto l'immenso barlume di un momento prezioso, non gli restava che l'oscuramento seguente, ed un mare di tenebra nel quale cercare quella luce, quella medesima luce una volta ancora.

    Chi lo conosce sa che è una filosofia che mal gli calza: a volte (molte volte) era Lui stesso a fare in modo che la sua vita - o non-vita, a seconda dei punti di vista - fosse costretta a cambiare. Drasticamente, talvolta. Tanto per fare un esempio, fu lui, di sua spontanea volontà, a dirigersi a Tokyo. E proprio quello era uno dei cambiamenti più drastici che avesse mai affrontato. Ma non si poteva dire spaventato da questo cambiamento, poiché strano a dirsi, in quel viaggio cercava l'ombra del passato. Il conforto di cose che aveva già vissuto.
    Cambiava il teatro, alla fin fine, ma lo spettacolo rimaneva il medesimo, così come i due protagonisti.

    Lo volete sapere un segreto...? A Lui quello spettacolo piaceva. Piaceva molto.
    Lui... lui era uno degli attori. Lui era Richard. Richard S. LeRoy, ed interpretava un novello Romeo dei tempi moderni. E quel Romeo non era null'altro se non un fanciullo spaventato dalla vita, da opprimenti doveri, dalle responsabilità che incombevano su di lui e da ciò che implicavano se avesse fallito. Per questo, tal volta, metteva in scena la "grande fuga". Un viaggio lungo e spesso estremo, compiuto ora in nome di un sogno, ora per sfuggire ai suoi doveri, ora in nome dei ricordi e del passato. Molte "Grandi Fughe", che nel tempo avevano minato il suo senso di appartenenza, la certezza nei legami, il credo. Persino quel viaggio a Tokyo nulla era se non il figlio dell'incertezza.
    Si sentiva inadeguato, ed in parte era perché dietro di lui, dietro ogni suo viaggio, c'era una novella Giulietta che guardava le sue spalle farsi sempre più piccole e lontane.
    La verità...? La verità è che per lei avrebbe dato tutto. La verità è che per quella Giulietta, pensando a lei e lei sola, aveva trovato la forza di raccogliere le sue cose e partire per un nuovo viaggio, incerto e misterioso, che lo avrebbe condotto forse la morte. Ma che oltre all'ignoto ed alla dannazione, quella città faceva promesse. Promesse lusinghiere. Ed allora lo faceva per lei, per poterle regalare tutto ciò che fosse desiderabile, per portarle in dono quanto di più prezioso avrebbe trovato lungo il suo cammino.

    E poi... non aveva dubbi. Non si sarebbe sentito solo.
    Perché la Giulietta che faceva di lui l'uomo che era, non era persona da versare lacrime e scorrere un rosario mentre attendeva il ritorno del suo Romeo. Al contrario, quella Giulietta avrebbe preso baracca e baracchino, e l'avrebbe inseguito fino in capo al mondo, armata di mattarello, e ben decisa a darglielo in testa per i secoli dei secoli.

    Era un racconto di violenza, quello, dove il povero Romeo finiva con la testa dentro un muro, eppure Richard la trovava meravigliosa. Splendida, perché nonostante tutto la sua Giulietta era lì, lo avrebbe seguito anche questa volta, ed avrebbe continuato a farlo. Per i secoli dei secoli.
    Anche se il suo Romeo la costringeva ad abbandonare il "villaggio rurale" (o poco più) in cui abitavano per prendere e partire verso una megalopoli fulcro di tecnologia - senza nessuna promessa di stabilità per altro.
    Anche se il suo Romeo era così inutile da non aver ancora assimilato i concetti di "la batteria col tempo si scarica" e "per tenere acceso il cellulare la batteria non deve essere scarica".
    Anche se dopo tutto quel viaggio il suo Romeo non era lì a prenderle la valigia dalle mani.

    Chi lo farebbe? Chi, se non Lei, lo farebbe? Perché farlo...?
    Quello spettacolo aveva anche il sapore amaro della paura, del rischio, e dell'adrenalina. Perché lui era un giocatore d'azzardo. Ed ogni volta, quando arrivava il momento di puntare, metteva sul tavolo sé stesso e la propria anima. Ed ogni volta che puntava la sua posta, lo faceva ben prima che il gioco fosse dichiarato, che potesse leggere le probabilità della sua scommessa, l'esito di una recita che, pur sempre la stessa, rischiava di venir stravolta ad ogni esibizione.

    Tutto o nulla.
    Non era la prima volta.
    E le odds, giocata dopo giocata, iniziavano a darlo perdente.
    Eppure eccolo lì, a giocare d'azzardo con la sua stessa vita.
    A buttar giù il bluff più grande di sempre.
    Ma sapete che c'è?
    Che lei era lì. Quindi, anche questa volta, lui aveva vinto.
    Ed era diventato l'uomo più ricco del pianeta. Ancora una volta.

    Cosa possedeva?
    La possibilità di osservare una donna la cui rabbia era tale da far sollevare raffiche di vento anche al chiuso.
    La possibilità di osservare una donna il cui sguardo assassino era così freddo da far venire la pelle d'oca a chiunque lo incrociasse.
    La possibilità di avvicinarsi a quella donna quando chiunque altro era terrorizzato anche solo all'ipotesi di muovere un passo in quella direzione e piuttosto s'allontanava dall'aeroporto il più in fretta possibile.
    E non meno importante, la possibilità di rivolgerle la parola.
    Questa era la sua ricchezza. Questa era la promessa che gli bastava sentir sussurrata per scommettere la propria intera esistenza. Per ottenere tutte queste cose - e forse si sarebbe accontentato anche di meno - sarebbe disposto a ricominciare ancora. Ed ancora. A ricominciare dieci, cento, mille volte.

    Sarebbe partito verso l'ignoto senza pensarci due volte, se al suo arrivo avesse potuto appoggiarsi ad un distributore guasto e sorriderle, così come stava facendo in quel lungo momento, prima di rivolgerle la parola.



    «Non si fa così.» Ebbe il coraggio di dire a quella donna. «Qui non è come da noi. Hanno tradizioni diverse. E come si dice, quando vai a Roma, fai come i Romani.»

    Nessuna presentazione. Nessuna domanda. Forse - avrebbe potuto dire qualcuno - nessun rispetto. Eppure, in realtà, lui non stava facendo altro che risparmiarle la parte noiosa. Infondo, era lei la Primadonna assoluta, e quella recita la conosceva a memoria tanto quanto lui. Altrimenti, non sarebbe stata lì ad aspettarlo.
    Lui... non l'aveva chiamata. E lei non lo aveva avvisato. Semplicemente, lei era lì, e lui pure.
    Era arrivato tardi, questo lo sapeva. L'avrebbe pagata cara, sapeva anche questo. Lei... era venuta a Tokyo solo per lui. Ma questo non faceva necessariamente parte del copione, ed in qualche modo, fu felice.

    Aprì l'occhio sinistro, per guardarla furbescamente. Era lei la sua Giulietta. Eve Qiàn LeRoy, la vera star, e la persona che condivideva con lui il palco della vita. L'unica, l'unica persona mai esistita ad essere stata in grado di insegnargli una cosa: vivere, partecipare a quello sporco teatrino che ogni giorno bisognava emulare per compiacere la società... non era poi così male. Perché c'era lei, su quel palco, assieme a tutti gli altri. SOPRA tutti gli altri. E finché anche a lui sarebbe stato concesso di muoversi accanto a lei, non importava cosa il mastro burattinaio Destino aveva in serbo per loro. Non avrebbe potuto desiderare di meglio.

    Si scansò lentamente dal macchinario difettoso, quindi fece cenno alla dama dai capelli rosa di allontanarsi qualche passo.
    Poi, con una semplicità e nochalance che avevano dell'inverosimile, girò su sé stesso con la gamba sinistra alzata, assestando un deciso calcio sul metallo, che reagì con una serie di poco piacevoli rumori e stridii.
    Ci vollero un paio di secondi, prima che l'aggeggio smettesse di gorgogliare sofferente, e capitolasse ancora una volta, ora di fronte all'esuberanza di quell'uomo.
    Un paio di lattine scesero una dopo l'altra, e lui le raccolse, per poi studiarle distrattamente man mano che si avvicinava alla viaggiatrice.
    La gente guardava esterrefatta, senza parole, ma lui continuò incurante, concentrato su quei Kanji. Leggerli... non era il suo forte. Non ancora, almeno. Però sapeva cosa conteneva la lattina che si ritrovò a premere sulla fronte di lei.
    Una birra ghiacciata, e sperò di cuore che sarebbe bastata a placare i bollenti spiriti. Almeno un po'.
    Per lui... era capitato del succo di pomodoro, quindi stava valutando l'ipotesi di buttarlo senza nemmeno aprirlo. Purtroppo doveva ancora imparare come si faceva a scegliere le lattine.

    «Ho visto come si fa in una sorta di documentario.» Le disse. «C'era una liceale che prendeva da bere così. Anche se aveva la gonna. Pare che da queste parti sia uso comune... E pare che la moda sia di mettere dei pantaloncini sotto la gonna. E il reggiseno sopra le magliette della salute.»

    Senza aggiungere altro si voltò verso una delle lastre di vetro che separavano l'interno dell'aeroporto dall'esterno, dalla strada che conduceva in città. Vi si avvicinò, fino a poter alzare la mano e toccarlo. Saggiarlo. Sembrava perso in qualche calcolo mentale.

    «I Giapponesi sono strani.»

    Sentenziò serio, per poi tornare a voltarsi in direzione della ragazza.
    Si avvicinò a lei, scrutandola come poco prima aveva scrutato il mondo fuori da quell'aeroporto, per poi prendere dalle sue mani il trolley.

    «Abbiamo ancora un po' di tempo... Com'è andato il viaggio?»

    Le chiese con un largo sorriso sulle labbra.



    «Mi sei mancata.»

    Ammise in fine, cedendo alla tentazione ed infrangendo il copione.


    Edited by Hylian Mage - 2/6/2012, 23:33
     
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  3. Barone Mirtillo
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    - Parlato di Eve -




    Aeroporto internazionale di Narita.



    «Non si fa così.»

    Maledetto e amabile ammasso di elettroni ritardatari. Ce ne aveva messo di tempo, cosa che la Marid cercò di fargli notare con un goffo sguardo omicida...Ma le era mancato, e non poteva fare a meno di addolcirsi un po', nel poterlo finalmente rivedere.

    «Qui non è come da noi. Hanno tradizioni diverse. E come si dice, quando vai a Roma, fai come i Romani.»

    Eve fece un gesto molto teatrale con la mano, invitando Richard a dare il via ad una delle sue consuete esibizioni: le sfuggì un sorriso, ma s'affrettò a nasconderlo dietro un gesto qualunque. Tanto per incoraggiarlo, gli fece una linguaccia, mettendosi poi a braccia incrociate, in attesa.
    Ammirò il gesto atletico del compagno, annuendo con evidente approvazione. Non le dispiaceva quella tradizione locale, no.

    - Però. -

    Gli concesse, raccogliendo la gelida bevanda di cui le era appena stato fatto dono. Nessun bisogno di tradurre quei geroglifici con cui gli orientali ci fanno credere di comunicare: il nobile nettare di malto e luppolo era inconfondibile.

    «Ho visto come si fa in una sorta di documentario. C'era una liceale che prendeva da bere così. Anche se aveva la gonna. Pare che da queste parti sia uso comune... E pare che la moda sia di mettere dei pantaloncini sotto la gonna. E il reggiseno sopra le magliette della salute.»

    Lo guardò severa, con evidente disapprovazione: sospirò e scosse la testa, poi spiegò le ragioni del suo diniego.

    - Lasciala stare, quella liceale lì. Faceva le medie, e comunque non ti pare che stai violando un po' troppi di quei copyright, ultimamente?! -

    Certo, il reggiseno sopra le magliette era qualcosa di decisamente nuovo. E... Terrificante, in qualche modo. Ma in fondo chi era lei, appena arrivata in Giappone, per criticare il rapporto delle autoctone con i loro seni?

    «I Giapponesi sono strani.»

    Ci pensò su qualche secondo, poi la risposta venne spontanea.

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    - Già, secondo me è colpa del Sushi. -

    Ma era ovvio che non potevano andare avanti con i deliri in eterno: bisognava consumare degnamente il loro ricongiungimento. Gli offrì un sorso di birra, in attesa della sbronza che si sarebbero concessi sicuramente quella notte.

    «Abbiamo ancora un po' di tempo... Com'è andato il viaggio?»

    - Meglio dei precedenti, direi: nessuno mi ha arrestato all'arrivo, o obbligato a giurare fedeltà al Giappone. Comunque, Dottor Spock, la prossima volta cerca di accendere il Tricorder. -

    Gli disse con un leggero chop sulla nuca. L'alcol l'aveva quietata, e la pericolosità che ora mostrava era piuttosto bassa. Bassa per gli standard di una giovane donna, in ogni caso.

    «Mi sei mancata.»

    - ... -

    Lo guardò perplessa. E poi rispose nel modo romantico con cui risponderebbe una qualsiasi ragazza innamorata:

    - E CI MANCHEREBBE ALTRO!-

    Disse, volgendo le spalle e dirigendosi a grandi falcate verso uno dei corridoi, seguita a ruota dal trolley. Si girò ancora una volta, con un sopracciglio alzato degno di una certa regina bionda.

    - Beh? Ancora lì? Sbrigati. Spero vivamente che casa tua abbia un letto come si deve. -

    Disse, senza neanche cercar di far capire se la frase era maliziosa o innocentissima.
     
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    Aeroporto internazionale di Narita.

    Lei... non lo disse, ma lui percepì il brivido di ribrezzo correrle lungo la schiena. Fu all'incirca la stessa reazione che ebbe lui. Ribrezzo. E paura. Quel Sushi - qualunque cosa fosse - doveva essere una droga bella potente.

    - Lasciala stare, quella liceale lì. Faceva le medie, e comunque non ti pare che stai violando un po' troppi di quei copyright, ultimamente?! -

    Così aveva detto invece. Ed effettivamente, non aveva tutti i torti.

    «Però nell'ultimo periodo sono stato inattivo...»

    Borbottò lui a mo' di scusa, sperando che la cosa contribuisse ad abbassare la media mensile, ma preferì non prolungare oltre il discorso. La media restava comunque abominevolmente alta.
    Decisamente meglio concedersi un sorso di nettare: quando gli fu offerta la lattina nessun dubbio rimase, ed il presunto succo di pomodoro fece un bel volo dritto per dritto verso un cestino dei rifiuti. Alla facciaccia del terzo mondo. La colpa - per altro - non era sua, ma di chi spremeva i pomodori per farne quell'abominio, invece di mandarli (rigorosamente interi) a chi si muore di fame...
    Ma dimenticare quel discorso fu quanto di più facile potesse esistere, anziché prendere la lattina si limitò a poggiarvi le labbra, approfittando per baciare l'indice di lei.
    Un solo sorso, un solo bacio, entrambi brevi, ma si sentì soddisfatto.
    ORA poteva perdonare le multinazionali.

    - Meglio dei precedenti, direi: nessuno mi ha arrestato all'arrivo, o obbligato a giurare fedeltà al Giappone. Comunque, Dottor Spock, la prossima volta cerca di accendere il Tricorder. -

    Rise. Rise di gusto, mentre si lasciava andare alle memorie. Ah, i "bei tempi"... Se non fosse che entrambi i luoghi citati erano insignificanti e valevano la pena di esser visitati solo perché c'era lei, avrebbe quasi potuto sentir nostalgia.
    Ma Eve era lì, quindi nada, stava bene così.
    E dopo quella risata liberatoria, si decise a tirare fuori il proprio "tricoder": un banale telefonino vecchio modello, preso in saldo. Fumava ancora, ed il display era esploso. Verso l'esterno, avrebbe notato qualcuno competente. Il che sarebbe sembrato strano, se non si conosceva il soggetto, ed infatti...

    «C'era scritto che la batteria era scarica...» Borbottò lamentoso. «Ho provato a caricarla, ma... uhm. Beh, però penso che la batteria sia carica.»

    Annuì compiaciuto, e non lasciò che la risposta di lei lo turbasse. Al contrario, non ebbe altro effetto se non quello di rasserenarlo.



    «Aye aye.» Le rispose, concedendosi un sospiro ed una scrollata di spalle.

    - Beh? Ancora lì? Sbrigati. Spero vivamente che casa tua abbia un letto come si deve. -

    «A-arrivo...!» Rispose di colpo, tornando al mondo reale ed affrettandosi per raggiungerla. Non ce la fece, tuttavia, a trattenere un commento: «Un letto...? Non ti bastano più le bottiglie...? Beh, meglio, qui per lo più le hanno piccoline... E pensare che negli opuscoli ci sono i bottiglioni di Saké...! Quelli t'avrebbero dato soddisfazione...»

    Nemmeno lui lasciò ben intuire cosa intendesse. Non fu impossibile che un terzo potesse interpretare quel discorso nell'unico modo razionale concepibile. Ed anche quel pensiero lo fece sorridere.
    L'importante, alla fin fine, era che si fossero capiti loro due. Come diceva un vecchio pazzo, "supera l'impossibile e dimentica la razionalità", no...?
     
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    «C'era scritto che la batteria era scarica...Ho provato a caricarla, ma... uhm. Beh, però penso che la batteria sia carica.»

    Eve gli scompigliò i capelli, carezzandolo piano e con tutto il *patpat* di cui era capace. Sospirò, ricordando a sè stessa la prima regola d'oro della vita femminile: "una vera donna non dovrebbe mai lasciare da solo il proprio maschietto: da soli non se la sanno proprio cavare".

    - Ow...Povero cucciolo... -

    L'allusione al letto, comunque, aveva sortito i suoi effetti, e il piccolo dolce Richard l'aveva seguita a ruota. Era bello sentire la risonanza fra le loro due menti: laggiù la sentiva più chiaramente che in passato...Anche se il prezzo pagato era quello schifoso corpo di sangue e carne che si ritrovava.

    «Un letto...? Non ti bastano più le bottiglie...? Beh, meglio, qui per lo più le hanno piccoline... E pensare che negli opuscoli ci sono i bottiglioni di Saké...! Quelli t'avrebbero dato soddisfazione...»

    - Tesoro mio, credo che non userò bottiglie per un bel pezzo. -

    Incurante dei divieti e dei regolamenti, e delle altre menate jappo-salutiste, si accese una sigaretta. Ci voleva, e per farlo era disposta anche a sborsare una manciata di Yen di multa. Poteva scialacquare, tanto aveva parecchi soldi da parte, e non sapeva quanto valeva uno Yen.

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    - Che mi racconti su questo posto? Interessante, come linea temporale? Sembra tutto tranquillo, a giudicare dal poco che ho visto -

    Gli disse, facendo uscire il fumo dalle narici, a mò di drago sbuffante. Il fumò danzò tra loro leggero, per poi salire e svanire nel nulla.

    - Dovrei chiederti se hai già trovato una casetta, se ti sei sistemato, ecc... Ma conoscendoti, ti chiedo: hai già infastidito qualcuno di pericoloso? -

     
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    Si lasciò patpattare diligentemente, seppur dovette ricorrere a molta concentrazione per non lasciarsi sfuggire qualcosa di... "controproducente" per la sua persona ed immagine.

    - Tesoro mio, credo che non userò bottiglie per un bel pezzo. -

    «Tranquilla, tranquilla: saprò darti qualcosa di altrettanto soddisfacente. ...ti ho già detto che mi sei mancata...?»

    Sogghignò di gusto, mentre accelerava il passo. Spallata ad una macchinetta. CALCIO ad una macchinetta. Oscenità in pubblico, ed ora una sigaretta. Cazzo, non erano passati nemmeno 5 minuti pieni che la loro lista di reati si stava già facendo il suo modesto nome.
    Gran bel curriculum. Non c'era che dire. A momenti sarebbero stati circondati da delle guardie, ed avrebbero potuto vantarsene.
    Un fugace dubbio lo attraversò: "offesa a pubblico ufficiale" lo avrebbe archiviato prima lui chiamando lo sfortunato "gentile bifolco", o prima lei insultandolo con quella classe che solo Lorelai Docet...?

    - Che mi racconti su questo posto? Interessante, come linea temporale? Sembra tutto tranquillo, a giudicare dal poco che ho visto -

    «Beh, uhm. Sono qui solo da un paio di giorni, eh. Non ho scoperto molto, ma Tokyo è diversa dal resto del Giappone. Leggi nuove, una sorta di regime, e costringono la gente a farsi impiantare modifiche genetiche. Però ora come ora è un po' come Cinque Torri: tanta gente che abbaia, dittatori con il "grande piano malvagio di una vita", e tanto tanto fumo. Di arrosto, per ora, non c'è traccia. Oh, il capo è una donna. Credo sia la gemella buona intelligente di Raphael: non ha ancora dichiarato guerra al resto del mondo conosciuto.»

    Ripassò mentalmente quanto detto, per assicurarsi di non aver proferito castronerie, ma ad una prima e seconda analisi pareva un sunto che calzava alquanto.

    «Ah, e ho scoperto che da queste parti non mettono né il bario né il piombo, nel cibo.»

    Quest'ultimo dettaglio venne pronunciato con tono atono, sicché ancora una volta i comuni cittadini avrebbero dato una strana ma coerente interpretazione a tutto ciò. Richard si chiese quanto quella potesse differire dall'interpretazione che dava lui...

    - Dovrei chiederti se hai già trovato una casetta, se ti sei sistemato, ecc... Ma conoscendoti, ti chiedo: hai già infastidito qualcuno di pericoloso? -



    «Ci ho provato, ma la sorveglianza qui è stretta. Quando mi hanno chiesto chi cazzo ero, gli ho risposto "L'Ultimo Starfighter". Credo ci siano rimasti un po' male, ma a parte quello... Ah, però sto importunando i cittadini...!»

    E la faccia da schiaffi con cui rispose a quella domanda aveva qualcosa di invidiabile.
    Davvero, si poteva umanamente essere così felici di stare sugli attributi alla gente...? A vedere Richard, sembrava quasi il sogno di una vita che si realizzava...

    «Tempo al tempo: prima o poi i guai verranno a cercarmi.»

    Concluse fiducioso. Anche perché l'alternativa era lui che li creava ad hoc, quindi non c'era davvero di che preoccuparsi.
    Il problema più serio, al momento, era quello di trovare un'adeguata sistemazione alla sua dama, ma anche per quello aveva già una mezza idea: infilarsi abusivamente nella casa di qualcuno, e non schiodarsi manco morto.
    Doveva solo individuare il bersaglio perfetto prima di sera...
     
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    «Beh, uhm. Sono qui solo da un paio di giorni, eh. Non ho scoperto molto, ma Tokyo è diversa dal resto del Giappone. Leggi nuove, una sorta di regime, e costringono la gente a farsi impiantare modifiche genetiche. Però ora come ora è un po' come Cinque Torri: tanta gente che abbaia, dittatori con il "grande piano malvagio di una vita", e tanto tanto fumo. Di arrosto, per ora, non c'è traccia. Oh, il capo è una donna. Credo sia la gemella buona intelligente di Raphael: non ha ancora dichiarato guerra al resto del mondo conosciuto.»

    Modificazioni geniche forzate. Non male, potenzialmente. Se non fosse che Eve conosceva i disagi che poteva creare un mondo in cui anche l'ultimo degli spazzacamino era in grado di lanciare palle di fuoco. Il fatto che il capo fosse una donna era una normale garanzia di efficienza in piani malvagi, ma Eve non era il tipo da fare la primadonna, ed era talmente arrogante da non sentire la tipica rivalità femminile.

    - Mh. Dovremmo farcela a prenderci la nostra fetta di torta, anche questa volta. -

    Disse, più a sè stessa che all'altro. Nei recessi della sua mente, Qiàn gongolava con altrettanta soddisfazione.

    «Ci ho provato, ma la sorveglianza qui è stretta. Quando mi hanno chiesto chi cazzo ero, gli ho risposto "L'Ultimo Starfighter". Credo ci siano rimasti un po' male, ma a parte quello... Ah, però sto importunando i cittadini...!»

    Beh, ovviamente. Eve si sarebbe stupita del contrario. Tanto più in un posto apparentemente civile e composto come il Giappone, bersaglio ideale dei suoi deliri. Laggiù, probabilmente, gettare un mozzicone a terra era considerato un pericoloso atto sovversivo. Che dire, una bella tela bianca da sporcare a proprio piacimento? O una terra vergine su cui mettere le mani?

    - ...Bravo, vedo che hai fatto i compiti. -

    Come al solito alla casa avrebbe dovuto pensarci lei: il massimo che poteva aspettarsi da Richard era un appartamento occupato abusivamente in qualche sobborgo. Il che era già un passo avanti rispetto al ponte dei bei vecchi tempi...Niente da fare, se volevano ville faraoniche come prima, dovevano farsi il loro giro di contatti importanti.

    - Qualche amichetta tettona che possiamo sfruttare? -

    jpg

    Inforcò gli occhiali e accese il palmare, parlando distrattamente mentre setacciava il web alla ricerca di qualche informazione in più sulla Tokyo che l'attendeva dietro le porte scorrevoli.

    - E dimmi, come si arriva in centro? Non dirmi la metropolitana di Tokyo, please. Gli unici tentacoli che amo, sono quelli che stanno sott'acqua. -
     
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    «Parlato di Richard»



    Aeroporto internazionale di Narita.

    «Spero solo che non capiti qualcosa di dietetico... Le balene hanno fame.»

    Fu l'unica risposta sommessa che riuscì a dare, mentre per qualche attimo si perdeva nei ragionamenti. In effetti, questa volta, si sentiva un po' esitante. Non era una questione di paura, la Majestic era brava a giocare a Dio ma non era la sola che sapeva farlo, senza contare che aveva molti, troppi nemici. Sarebbe stata un avversario ostico da fronteggiare, ma non lo spaventava. Ed a mancare non era nemmeno la fiducia, si fidava di Eve e poteva tranquillamente darle in mano la propria vita, non era certamente quello il dubbio che si insinuava in lui. A lasciarlo perplesso, alla fin fine, era proprio quella fetta di torta: dove voleva andare a parare, Eve...? Ed anzi, voleva davvero andare a parare da qualche parte? O semplicemente stava dando a Qiàn il suo giocattolino per tenerla quieta...?
    Non lo sapeva, non lo sapeva proprio, ma una cosa era certa: le balene hanno fame sul serio, ed una fettina troppo misera non sarebbe bastata.

    Mi auguro solo che non calcherà troppo la mano...

    Pensò di nascosto, ben conscio che la battaglia di lei era la battaglia di lui. Se avessero esagerato sarebbe stato stancante... un po'. Un po' tanto, ma questo loro lo scopriranno solo molto, molto più tardi.

    - Qualche amichetta tettona che possiamo sfruttare? -

    «Hoy, ora non ricominciamo con la storia di Dru, eh...! Lo sai che non è stata colpa mia, e lo sai perché ci sei cascata anche tu...!» Esplose di colpo, palesemente sulla difensiva. «...era la prima volta che succedeva una cosa del genere... e ci abbiamo guadagnato una casa ed un locale...»

    Sì... al prezzo della schiavitù. S'era fatto fregare. E lo sapeva. Sapeva di essersi fatto fregare come un pollo, ma quella - che diamine - era la donna degli uccelli, e nessuno lo aveva mai preparato a resistere alle sue lusinghe. ...o a non ragionare con l'uccello. Bah, basta.
    Era un capitolo chiuso. Non voleva più pensarci. Anche perché lei, per altro...
    No, no, meglio non pensarci o si sarebbe depresso.

    «...non ho ancora trovato qualcuno che ci finanzi.»

    Concluse poi, con voce neutra, lasciando scivolare via il discorso ed accogliendo con somma gioia il cambio di topic.

    - E dimmi, come si arriva in centro? Non dirmi la metropolitana di Tokyo, please. Gli unici tentacoli che amo, sono quelli che stanno sott'acqua. -

    Gh.

    Un'esplosione di orgoglio si generò nel suo petto, facendo sì che si gonfiasse mentre molando il trolley incrociava le braccia e sul suo volto si allargava un sorriso compiaciuto.



    «Beh, diciamo che c'è un motivo se ho fatto un po' tardi...»

    Non volle rivelare subito tutta la verità. Si limitò ad afferrare nuovamente il trolley ed a trascinarlo mentre con baldanza e trepidazione faceva strada sempre più in fretta verso le porte, ormai non eccessivamente lontane.
    Non era un caso ovviamente: dietro di loro iniziavano a farsi strada degli addetti alla sicurezza.

    «Ricordi il regalo che mi hai fatto a Natale...?» Chiese un po' a bruciapelo, voltando la testa oltre la spalla con un sorriso che, per un breve istante, si fece imbarazzato prima di tornare fiducioso. «...non quella cosa. L'altra. La Jr, quella che mi hai costruito. Sono venuto a Tokyo con quella, ma... ecco... diciamo che la ho un pochino... appena appena... sì insomma... solo un po'... schiantata.»

    Ingollò un boccone amaro, quando lo disse, ed attese prima di parlare ancora, giusto per essere certo di essere ancora vivo e di non aver ricevuto una sprangata dietro la nuca.

    «In ogni caso non mi avrebbero fatto circolare, con quella... Quindi ho pensato di procurarmi qualcosa di simile... Certo, non è prestante come la Jr, però...»

    Quando finalmente fu alle porte scorrevoli, ovviamente, trovò alcuni vigilanti pronti a fermarli, armati delle migliori intenzioni e di squisiti teaser pronti a scaricarli addosso a lui.
    Se ne fotté platealmente.
    Non solo non si fermò quando due nerboruti bestioni gli si piazzarono davanti, travolgendoli in pieno e trascinandoli con sé verso le porte, ma quando si ritrovò i teaser conficcati nei fianchi l'unica sua reazione fu un concitato:

    «Ahia...!»

    Eh, gli elettrodi pungevano. Un po' come la puntura delle api, la gravità della cosa fu la medesima: una cavolata, ma bene di certo non faceva, no?
    E poi, come le api una volta punto muoiono sviscerate, così anche Richard immaginò come sarebbe stato divertente sviscerare quei due scarafaggi. Ma non c'era tempo, il sangue sporca, e poi ad Eve donava il rosa, non il rosso.
    Quindi si limitò a buttarli a terra, continuando a camminare come se nulla fosse.
    Beh, sì, non è l'idea più geniale di sempre sparare con un teaser ad un electromaster. Più utili le pistole, ma non c'erano ancora gli estremi legali per farvi ricorso...

    «Yamaha YZF-R1. Nuova di zecca. Tutta per te. Buon Natale...?»

    Annunciò quando arrivarono al mezzo parcheggiato non troppo distante. Una moto sportiva, che a modo suo voleva ricordare un po' il regalo che ricevette lui. Più o meno anche il periodo era simile, no...?
    Assicurò la valigia, per poi porre alla sua lady il casco e le chiavi.

    «Allora... dove mi porti, bella signorina...?»
     
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  9. Barone Mirtillo
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    - Parlato di Eve -




    Aeroporto internazionale di Narita.



    «Hoy, ora non ricominciamo con la storia di Dru, eh...! Lo sai che non è stata colpa mia, e lo sai perché ci sei cascata anche tu...!...era la prima volta che succedeva una cosa del genere... e ci abbiamo guadagnato una casa ed un locale...»

    Ma certo che non era colpa di Richard, la colpa era di quei seni magnetici dagli ambigui poteri magici. Inizialmente c'era cascata pure lei, vero anche quello. E ci avevano guadagnato, sì. Ma ogni tanto era bene pungolare il suo cagnolino elettrico: e se anche non fosse stato un bene, era maleficamente divertente.

    «...non ho ancora trovato qualcuno che ci finanzi.»

    - E vabbé. Dovremo solo bussare a un po' di porte. O bussare un po' di persone. -

    Cosa che riusciva loro decisamente meglio. Certo, il potenziale bellico della coppia risiedeva perlopiù in Richard, ma lei in qualche modo poteva riuscire a tenere il passo, se ci fosse stata l'esigenza di tambureggiare un po' di crani. Un sorrisetto le si dipinse all'angolo della bocca, increspato di aspettative: era tanto che non faceva un po' di sano movimento, in fondo.

    Quanto al viaggio...

    «Beh, diciamo che c'è un motivo se ho fatto un po' tardi...»

    Si grattò il mento: ecco cosa le mancava. La totale mancanza di routine fra loro, il fatto che per quanto si conoscessero, il loro rapporto era una continua gara a stupire l'altro. Non sempre era un fenomeno gradevole per i terzi coinvolti.
    Lui non volle subito rivelare la sorpresa: una piccola vendetta per la punzecchiatura di prima, forse? Decisamente una cosa che la solleticava si risolse a pensare leccandosi le labbra impercettibilmente.

    «Ricordi il regalo che mi hai fatto a Natale...?»

    - Mmh. -

    Annuì, vagamente incuriosita: un bel lavoretto, su cui Eve aveva trafficato qualche settimana, attingendo a certe conoscenze meccaniche e ingegneristiche tirate fuori da chissà dove. Mai usata, purtroppo. Un'occasione perso, ma tant'era. Oppure lui si riferiva a quella cosa...?

    «...non quella cosa. L'altra. La Jr, quella che mi hai costruito. Sono venuto a Tokyo con quella, ma... ecco... diciamo che la ho un pochino... appena appena... sì insomma... solo un po'... schiantata.»

    - Un po'...? -

    Disse inarcando un sopracciglio. E questa volta era davvero MOLTO simile a quella famosa monarca. Cosa ovviamente pessima. Ma lo lasciò parlare, e spiegarsi: c'era tempo per punirlo adeguatamente.: prima voleva vedere cosa si sarebbe inventato. Mutanti? Alieni? Pinete zombificate? Filosofi vampiri?

    «In ogni caso non mi avrebbero fatto circolare, con quella... Quindi ho pensato di procurarmi qualcosa di simile... Certo, non è prestante come la Jr, però...»

    Lei lo guardò scettica, ma prima di decapitarlo voleva perlomeno vedere in cosa consistesse il futile tentativo di placarla. Mentre attraversavano le porte scorrevoli, rifilando un calcio nel sedere di uno dei due idioti che cercavano di aggredirli.
    Dio santo, volevano stordire Richard con dei Taser. Dei Taser. Questi erano più idioti di quel tizio che aveva fatto scoppiare un'atomica sui suoi compagni.

    «Ahia...!»

    - Uff... -

    Sbuffò annoiata, scostandosi una ciocca di capelli dalla fronte. Richard li lasciò a terra, e Eve si concesse il piacere di rifilare un gentile calcio nello stomaco di uno di essi. L'altro fu più fortunato, e si limitò ad essere calpestato dai suoi regali piedini.

    «Yamaha YZF-R1. Nuova di zecca. Tutta per te. Buon Natale...?»

    Eve prese il casco, , fece roteare le chiavi sull'indice, e gli schioccò un bacio sulle labbra. Il primo, dopo tanto tempo. Poi inforcò il casco, salì su quell'ammasso di cavalli rombanti, e pregustò un attimo il tracciato delle superstrade di Tokyo, che la attendevano laggiù. Rise fra sè e sè. Accese il motore.

    «Allora... dove mi porti, bella signorina...?»

    Lei alzò la visiera, gli fece cenno di salire, come un principessa che invita il suo cavaliera in cima alla torre.

    - Dove? Alla guerra, ovviamente. -

    Diede gas.

    - La guerra più totale. [Cit.] -

    Richiuse la visiera. Sorrise.
     
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    «Parlato di Richard»



    Strade di Tokyo.

    Dapprima un sorriso compunto, mentre le porgeva il casco e le chiavi: fu bello vedere quanto in fretta la donna acquisì padronanza con il regalo. Come se quelle abitudini le appartenessero da sempre, come se quella moto fosse parte imprescindibile di lei.
    Un regalo azzeccato.
    Richard si sentì... felice. Semplicemente, felice. Di una serenità che, per una volta, non fu solo facciata. Non fu solo una maschera da indossare. Un'emozione semplicemente genuina.
    E quando poi arrivò quel bacio, che lui tentò in tutti i modi di prolungare in eterno, fu quasi come volare.
    ...o subire una lobotomia, visto che negli istanti immediatamente successivi parve scollegare il cervello, e cincischiare ciondolando stupidamente.
    Ancora non era tornato in sé, quando meccanicamente ubbidì ai comandi infilandosi il casco (al contrario) e sedendosi dietro di lei. Cingerla con le braccia all'altezza della vita non lo aiutò a rinsavire, peggiorando piuttosto il suo stato.
    Per questo fu colto di sorpresa al momento della partenza, ed alla dichiarazione rispose nell'unico modo plausibile.

    «UN POLLOOOOOOOOOOH!!!! [Cit.]»

    Urlò, mentre il nuovo giocattolo - blu come blu era la vita, blu come blu era quella saetta che sfrecciava sull'asfalto - partiva a tutta forza, manco fosse un razzo in procinto di decollare.
    Ma, alla fine, andava bene così. Resistenza all'arresto, aggressione, e vari reati minori sarebbero stati problematici, come capi d'imputazione, e vice versa erano un movente assai eccitante per dare il via ad un inseguimento sfrenato che si sarebbe concluso - immaginava - con loro due che correvano su percorsi improbabili sfuggendo in maniera quasi impossibile alle forze dell'ordine.
    E non riuscì a fare a meno di chiedersi una cosa: "Che c'è di male a vivere così...?"
    Un sogno.
    Un bellissimo sogno, che stava vivendo una volta ancora.
    Pregò, lui che non credeva pregò, pregò affinché da quel magnifico sogno non si svegliasse mai.
    C'erano grandi progetti in ballo, Eve aveva mire ambiziose, ed a lui spettava il compito di portarla lì dove desiderava, verso il cielo ed oltre.

    «Voglio aprire un locale.» Sussurrò. Ma sapeva che lei lo avrebbe sentito. «Un posto sofisticato, magari. Ma senza pinguini e pannocchie.»
     
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  11. Barone Mirtillo
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    - Parlato di Eve -




    Strade di Tokyo.



    «UN POLLOOOOOOOOOOH!!!! [Cit.]»

    Già. Una voce solitaria, un grido di furore che si perdeva fra le strade della gigalopoli. Era l'annuncio del loro arrivo, il fottuto arrivo dei fottuti pazzi. Perchè si sentiva nell'aria: laggiù sarebbero capitati grossi casini, e nessun casino poteva aspettarsi di capitare senza avere i LeRoy nei dintorni.
    La moto, blu come i loro cuori, mordeva quell'asfalto, insaziabile: lei, sotto di sè godeva di quei cavalli di pura potenza, gustando l'ebbrezza della velocità, come tanto tempo prima.
    Forse qualcuno li avrebbe seguiti. O forse no, conoscendo i pavidi gendarmi giapponesi. Probabilmente ci sarebbero volute 56 ore solo per farli decidere su come salire in auto. Pff.

    Caos. Lo adorava.

    «Voglio aprire un locale.»

    Un sussurro, più che sufficiente per lei. Ghignò, in modo lezioso e aristocratico, ma non per questo meno inquietante.

    «Un posto sofisticato, magari. Ma senza pinguini e pannocchie.»

    Driftò all'imbocco della superstrada, giusto in tempo per fermarsi davanti alla skyline della città. Si tolse il casco, conficcò i suoi occhi in quelli di Richard, e gli diede un buffetto sul cuore.

    - ...Kh. -

    jpg

    - Dove devo firmare? -

    Rise.

     
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    «Parlato di Richard»



    Strade di Tokyo.

    Si tolse il casco a sua volta, Richard, ostentando un ghigno orgoglioso in risposta a quella pacca.



    «Hai inciso il tuo nome sulla mia anima, baby. Qualsiasi altro documento, per me, è solo carta straccia.»

    Le disse con convinzione, tirandosela all'inverosimile mentre scendeva dalla moto e si avvicinava di qualche passo all'orizzonte, per indicarlo poi con un ampio gesto del braccio.

    «Vedi tutto ciò che è illuminato dal sole...? Mufasa era uno stolto. Credeva di possederlo. Credeva davvero che lo avrebbe dato a suo figlio. Ci credi...? Non c'è limite all'imbecillità!»

    Disse canzonatorio, prima di stringere il proprio pugno e trasformare quello che era un ghigno in una vera e propria risata colma di follia.



    «Me ne fotto dei copyright. Me ne fotto delle autorità, dei diritti, e di tutto il resto. Me ne fotto del sole e dell'ombra: vedi tutto ciò che esiste...? Sarà nostro. Sarà tuo

    Se la tirò ancora per qualche attimo, lasciando che qualche saetta si vibrasse dalla morsa ed accarezzasse il cielo ed il terreno, prima di piantarla di fare l'imbecille e voltarsi, sorridendo come se non avesse fatto nulla di sbagliato.

    «Quel locale... sarà un punto di partenza. Non si può conquistare il mondo alla cieca, prima di tutto ci serve conoscenza. In quel locale scambieremo informazioni, ed useremo l'alcol per sciogliere le lingue. Anche se, con i tuoi poteri, potremmo farne a meno, ma... Insomma, ogni scusa è buona per bere un goccio, no?»

    Chiese ridacchiando, mentre tornava sulla moto.
    Fretta di ripartire...? No, tutt'altro, quel momento per lui era perfetto. Avrebbe voluto protrarlo all'infinito, tra risate malvagie, pose da manga e, soprattutto, la presenza di Eve. Solo, voleva essere sicuro di non essere lasciato a terra come un imbecille mentre lei ripartiva a razzo...
     
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